Generalmente distinguiamo, dal punto di vista eziopatogenetico, cioè delle cause che la producono, una osteoporosi “primitiva” ed una “secondaria”.
L’osteoporosi primitiva è tipica del sesso femminile, in ragione del fatto che in media le donne vivono più a lungo dei maschi e che risentono negativamente degli effetti delle gravidanze e della menopausa sul metabolismo osseo. L’osteoporosi secondaria, più caratteristica del sesso maschile, è dovuta a disordini di tipo endocrinologico, metabolico, tossico o genetico (v. tabella I).
Osteoporosi primitiva |
post-menopausale
senile
idiopatica giovanile |
Osteoporosi secondaria |
cortisonica
da ipogonadismo
da ipertiroidismo
da anoressia mentale
gravidica
reumatica
da etilismo cronico
da tabagismo
da epatopatie croniche
da emocromatosi
da farmaci (neurologici e psichiatrici)
da immobilizzazione prolungata
da mastocitosi sistemica
da osteogenesi imperfetta
da sindrome di Marfan.
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Diagnosi differenziale |
Osteopatie maligne (metastasi, mieloma multiplo, emopatie).
Osteomalacia
Iperparatiroidismo
Osteodistrofie renali |
Osteoporosi post-menopausale e Senile
Possiamo vedere dalla tabella classificativa che l’osteoporosi primitiva, che è quella di maggiore interesse per la frequenza con cui si incontra, può essere distinta in “post-menopausale” e “senile” (quella “idiomatica” giovanile è rara).
L’insieme delle osteoporosi post-menopausali e di quelle senili rappresenta il 95% di tutte le osteoporosi.
L’osteoporosi post-menopausale è altrimenti detta “di tipo I” ed è caratterizzata dal fatto che compare tra i 50 ed i 70 anni; è sei volte più frequente nel sesso femminile (da questo deriva il nome “post-menopausale”) e consiste essenzialmente nella perdita di osso e relativo assottigliamento delle trabecole che costituiscono la spongiosa del tessuto osseo.
Tabella 1. Classificazione eziologica delle osteoporosi
Essa è responsabile delle fratture dell’epifisi distale del radio (le famigerate “fratture di Colles”) e degli schiacciamenti vertebrali, in particolare alla cerniera dorso-lombare.
L’osteoporosi senile, altrimenti detta “di tipo II”, colpisce generalmente dopo i 70 anni ed è due volte più frequente nel sesso femminile. Essa colpisce sia l’osso trabecolare sia l’osso corticale, come conseguenza da un lato di un processo cominciato in fase post-menopausale e poi proseguito nel tempo e dall’altro dell’invecchiamento naturale dell’individuo.
Risultano assottigliate non solo le trabecole spongiose, ma anche le corticali delle ossa lunghe.(fig. 1) Sono tipiche in questi casi le fratture del collo femorale e del bacino e gli schiacciamenti somatici vertebrali; questi ultimi presentano però la caratteristica di concentrarsi nel segmento medio-toracico della colonna, con progressiva cifotizzazione del paziente (fig. 2).
Fig. 1 – Assottigliamento della corticale
Fig. 2 – cifotizzazione della colonna
Epidemiologia Osteoporosi
La frase introduttiva del voluminoso testo di Riggs-Melton sull’argomento dice: “è il momento dell’osteoporosi”, sottolineando come attualmente essa attiri l’attenzione di svariate figure mediche (ortopedici, fisiatri, ginecologi, internisti, endocrinologi, ecc.) e polarizzi anche l’attenzione delle donne che si trovano in menopausa o che ad essa si avvicinano. La carta stampata e la televisione dedicano all’argomento sempre maggiore spazio; l’industria farmaceutica ha grandi interessi a sensibilizzare l’utenza in questo senso, dati i costi ed i tempi protratti delle terapie mediche necessarie.
Le indagini epidemiologiche eseguite sino ad ora hanno posto in evidenza dati allarmanti. L’inglese Nordin (un Autore che si è profondamente dedicato allo studio di questa patologia) ha evidenziato come a 60 anni il 7% delle donne ha presentato almeno una frattura a carico della colonna vertebrale, del polso o del collo femorale. A 80 anni tale percentuale sale al 25% (nel 4% dei casi con fratture multiple).
Le attuali stime statunitensi sono di 240.000 fratture femorali/anno, di 170.000 fratture del polso e di 500.000 fratture vertebrali all’anno. Un dato curioso è che le varie razze non risentono del problema nello stesso modo: è dimostrato che la razza negra e quella gialla presentano un’incidenza di osteoporosi significativamente minore rispetto a quella bianca.
Trattando di fratture vertebrali, i dati epidemiologici tendono in ogni caso ad essere sottostimati; infatti, mentre è estremamente raro che una frattura femorale o una frattura di polso non venga trasportata in Ospedale e qui convenientemente trattata e conseguentemente inserita nelle casistiche, capita frequentemente che una frattura vertebrale, che generalmente è “benigna” nell’evoluzione, venga curata a domicilio o neppure diagnosticata.
Oggi l’osteoporosi viene considerata una vera e propria malattia sociale, tra le più rilevanti e costose per il sistema sanitario.
Anatomia patologica Osteoporosi
La struttura trabecolare del corpo vertebrale è fondamentale per sostenere il peso del tronco. E’ stato infatti dimostrato che un corpo vertebrale, dopo essere stato privato dell’osso corticale che lo circonda, perde solo il 7% della sua resistenza alla compressione. Questo ci spiega perché le fratture vertebrali sono così frequenti, anche nelle fasi più precoci del processo osteoporotico, dove l’osso risulta interessato solo a livello del tessuto spongioso (Fig. 3).
Per una comprensione più profonda dei meccanismi che conducono alla frattura di un corpo vertebrale, occorre quindi fare riferimento alla microarchitettura del sistema trabecolare dell’osso.
Il tessuto sano è costituito dalle cosiddette trabecole ossee, di aspetto discoide, collegate le une alle altre mediante ampie superfici di contatto. Questo sistema è in continua trasformazione per l’azione di cellule che continuamente riassorbono l’osso (osteoclasti) e l’azione di cellule che continuamente appongono nuovo tessuto osseo (osteoblasti). Le due azioni sono in perfetto equilibrio, così da rinnovare continuamente il patrimonio osseo del soggetto, senza però indebolirlo. Nell’osteoporosi assistiamo ad uno squilibrio del sistema: non è ancora chiaro se il problema deriva da un eccesso di riassorbimento (eccessiva attività osteoclastica) o da una diminuzione dell’apposizione (riduzione dell’attività osteoblastica). E’ verosimile ritenere che entrambi i fattori concorrano a produrre una tale situazione. Con la perdita progressiva di massa ossea assistiamo all’assottigliamento delle trabecole ossee; gli elementi strutturali discoidali vengono attraversati da perforazioni e trasformati sempre più in elementi lamellari, che perdono progressivamente la loro continuità, con interruzione anche dei collegamenti trasversali tra una lamella e l’altra. L’assottigliamento delle trabecole determina la significativa riduzione della resistenza meccanica della struttura che è alla base dei cedimenti vertebrali che così frequentemente osserviamo nella nostra pratica quotidiana
Diagnosi Osteoporosi
Come sempre un’accurata anamnesi ed un altrettanto accurato esame clinico ci forniscono elementi indispensabili per sospettare il cedimento di uno o più elementi vertebrali.
Il sintomo “dolore” è sicuramente predominante, ed è quello che spinge il paziente a presentarsi all’osservazione dello specialista. Non deve trarre in inganno il fatto che questo sintomo si sia manifestato dopo un trauma modesto o uno sforzo banale: in una colonna gravemente osteoporotica si possono produrre cedimenti somatici anche dopo un solo starnuto!
Il dolore ha la caratteristica di essere posturale, cioè legato alla postura che assume l’individuo colpito: è presente durante la stazione eretta o la posizione seduta; tende a recedere con il decubito clinostatico (se il paziente non tenta di muoversi). La sintomatologia dolorosa acuta tende naturalmente a diminuire nel giro di 30-40 giorni, quando cioè sono già efficaci le prime misure riparative dell’osso fratturato. Il processo di guarigione avviene dopo circa 3 mesi dal trauma ed il silenzio scintigrafico (cioè la fine dei processi osteo-metabolici riparativi) entro 6 mesi.
Una radiografia standard del segmento vertebrale interessato è generalmente sufficiente per una corretta diagnosi. Una maggiore definizione del profilo vertebrale ci può venire dalla Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) Nel caso che il paziente abbia già subito in precedenza altri cedimenti vertebrali, può risultare difficoltoso, in assenza dei radiogrammi precedenti da confrontare, stabilire quali sono le fratture più recenti. In questo caso ci possono venire in aiuto altri tipi di esame: la scintigrafia ossea e la Risonanza Magnetica Nucleare.
La scintigrafia prevede l’iniezione per via endovenosa di una sostanza, il Tecnezio, definita “marcatore” o “tracciante”, che viene fissata dal tessuto osseo coinvolto in processi di metabolismo accelerato. In parole povere il Tecnezio si sostituisce al Calcio: il tessuto osseo capta dal sangue il Calcio per fissarlo al tessuto di nuova produzione ma in presenza di Tecnezio, capta quest’ultimo e rende perfettamente visibili i focolai di accelerato metabolismo. Per lo stesso motivo la metodica è utilizzata per svelare la presenza di neoplasie o metastasi dello scheletro.
La Risonanza Magnetica Nucleare permette di vedere chiaramente anche i processi infiammatori, l ”edema” che sono propri di una lesione recente: risulta così estremamente agevole differenziare le fratture recenti da quelle pregresse.
L’esame TAC risulta utile per definire con precisione la lesione ossea, in particolare per osservare se il trauma ha prodotto stenosi del canale vertebrale. Le fratture osteoporotiche generalmente si producono come conseguenza di traumi a bassa energia, con meccanismo di compressione, in cifosi, o di trauma indiretto da caduta sul podice. Il muro posteriore del corpo vertebrale viene generalmente conservato. Eccezionali sono in questi casi i coinvolgimenti del tessuto nervoso. L’es. TAC sarà richiesto quindi sulla base dell’esame clinico del paziente, del risultato dell’esame radiologico standard.
Tralasciamo in questa trattazione di approfondire il discorso sulla Osteodensitometria, fondamentale per la diagnosi precoce di osteoporosi ma irrilevante nel processo diagnostico delle fratture vertebrali. La densità minerale dell’osso può essere rilevata in varie sedi scheletriche (colonna, polso, anca, calcagno, rotula, ecc.) Ricordiamo solo che dopo i 65 anni è opportuno evitare di determinare la densità ossea della colonna. Le deformazioni di tipo compressivo dei corpi vertebrali, così frequenti dopo tale fascia di età, tendono, infatti, a compattare il tessuto osseo fratturato, dando così all’indagine densitometrica dei falsi negativi. Si preferisce in questi casi, per ottenere dati più attendibili, esaminare la regione intertrocanterica del femore.
Terapia Osteoporosi
Abbiamo già detto che i cedimenti somatici vertebrali da osteopenia sono lesioni “benigne”. Esse, infatti, sono generalmente stabili, avvenendo con meccanismo di compressione, assai raramente comportano complicanze di tipo neurologico e tendono nella maggior parte dei casi alla guarigione senza reliquati importanti.
La nostra terapia quindi deve prefiggersi 2 obiettivi:
- diminuire il tempo di allettamento del paziente, per ottenere un recupero funzionale il più veloce possibile
- prevenire le deformità in cifosi della colonna tipiche di tale patologia.
I traumi vertebrali da compressione consolidano in 3 mesi circa, con sintomatologia dolorosa presente per i primi 30-40 giorni. Una scelta terapeutica potrebbe essere quella di allettare il paziente durante tale periodo, per fargli recuperare la posizione ortostatica quando il dolore da carico è significativamente ridotto. In questa fase però, anche se la sintomatologia algica è pressoché assente, si può ancora determinare una deformazione plastica, in cifosi, degli elementi vertebrali colpiti; il tessuto osseo riparativo neoformato non è, infatti, in questo stadio ancora completamente “maturo” e calcificato. Risulta quindi improponibile una soluzione di tal genere, in modo particolare se partiamo dalla considerazione che trattiamo pazienti anziani e che l’allettamento di un anziano è di per se fonte di complicazioni, cutanee, digestive e respiratorie in particolare.
Ci vengono in aiuto in questi casi i corsetti ortopedici.
La durata del trattamento, di circa 3 mesi, andrà suddivisa in 3 periodi di circa 1 mese ciascuno: durante il primo mese il paziente dovrà mantenere decubito prevalentemente clinostatico, alzandosi con il corsetto bene indossato solo per brevi tratti per le necessità fisiologiche; durante il secondo mese il paziente potrà mantenere più a lungo la stazione eretta, per svolgere mansioni non faticose. Durante il terzo mese il paziente potrà ritornare alle proprie ordinarie occupazioni sempre con il corsetto indossato. Saranno eseguiti mensilmente controlli clinici e radiologici.
I busti presenti sul mercato sono svariati: la fantasia degli uomini è fervida (e quella degli ortopedici ancora di più) e i modelli proposti sono quanto mai vari ed eterogenei. In ogni caso,nella scelta dell’ortesi più indicata, dobbiamo prendere in considerazione:
- la sede della lesione
- le caratteristiche anatomiche della frattura
- la corporatura del paziente
E’ lapalissiano che un’ortesi bassa va impiegata quando la lesione è bassa ed una ortesi alta va impiegata quando la lesione è alta.
Ci occuperemo in modo dettagliato di alcuni tipi di ortesi per la colonna: il corsetto B.O.B., il corsetto in tela armata, il corsetto tipo Jewett e la crocera con ascellari.
Diciamo che una lesione del segmento lombare più caudale della colonna (da L2-L3 distalmente) può essere trattata, nei soggetti magri, con un busto basso, rigido, tipo Boston Overlap Brace (B.O.B.- fig. 3) con lordosi non inferiore ai 10° per contrastare l’effetto cifotizzante dello schiacciamento anteriore. E’ ovvio che deve essere considerato anche il grado di lordosi fisiologica del soggetto che andiamo a trattare. L’obiettivo che si prefigge un busto di questo genere è quello di immobilizzare il segmento di colonna colpito, evitandone i modo particolare la flessione anteriore, cioè il movimento che maggiormente sollecita in compressione il corpo vertebrale. E’ dimostrato che l’efficacia di questo tipo di ortesi diminuisce di molto se il paziente è obeso.
Fig. 3: Corsetto tipo B.O.B.
Nei soggetti magri, con cedimenti vertebrali modesti, potremo impiegare con le stesse indicazioni anche corsetti in tela armata, con spallacci lordosizzanti (tipo Taylor) tenendo in considerazione che un corsetto di tale concezione agisce solo se comprime l’addome in modo significativo (legge di Pascal); non sempre un soggetto anziano è in grado di tollerare un’azione di questo genere.
Nelle fratture che interessano il passaggio dorso-lombare della colonna ( T12, L1) è indicato il busto in iperestensione tipo Jewett (o similari- fig. 4). Questo busto si basa sulla concezione dei 3 punti di spinta, anche questa volte con effetto lordosizzante. E’ importante comprendere che questo tipo di corsetto realizza un trasferimento di carichi dal corpo vertebrale all’arco posteriore: non produce un vero e proprio scarico, in altre parole “alleggerimento” del peso. E’ pertanto indispensabile che venga applicato solo quando siamo ben certi che il muro vertebrale posteriore sia rimasto integro.
Fig. 4: Corsetto in iperestensione tipo Jewett.
L’unico corsetto che scarica realmente la colonna è forse la crocera con ascellari (fig. 5), che può essere realizzata in lega leggera o in resina, su calco. Le indicazioni sono le fratture medio-toraciche (sotto T7-T8) del segmento toracico inferiore o lombare. E’ un corsetto che risulta essere poco “compressivo”, anche se necessita di una presa di bacino ben modellata; lascia libero il torace e quindi non ostacola la respirazione; previene i movimenti di flessione della colonna; anche le funzioni digestive risultano poco compromesse. Nella nostra esperienza è il corsetto meglio tollerato dalle persone anziane, e che ci assicura i migliori risultati anche in presenza di lesioni vertebrali più gravi.
Fig. 5. Crocera con ascellari in resina.
E’ stato recentemente introdotto un nuovo sistema di stabilizzazione delle fratture vertebrali da schiacciamento: la vertebroplastica percutanea; ne accenneremo brevemente. Questa tecnica prevede l’iniezione di alcuni cc. di “cemento” direttamente nel corpo vertebrale fratturato. .Il cosiddetto “cemento” è in realtà “poli-metil-metacrilato”, la stessa sostanza utilizzata per “cementare” le artroprotesi di spalla, anca e ginocchio, resa più fluida per permetterne il passaggio attraverso un grosso L’ago viene posizionato sotto controllo radiologico (radioscopia o TAC) per via trans-peduncolare o iuxta-peduncolare. Questa metodica offre l’indubbio vantaggio di garantire una stabilità immediata della frattura, e quindi di affrancare l’anziano paziente dall’utilizzo di sostegni per il tronco. E’ in ogni caso una terapia invasiva, non priva di rischi e di complicanze, per cui l’indicazione va pesata caso per caso.
Si affianca alla vertebroplastica la cosiddetta cifoplastica. In questo caso la metodica, da utilizzare in presenza di una frattura “fresca” prevede l’introduzione, attraverso la stessa via utilizzata per la vertebroplastica, di una sorta di palloncino sgonfio dentro il corpo vertebrale fratturato. Il palloncino viene quindi riempito di acqua a pressione e con questa manovra si rialza il corpo vertebrale depresso; dopo avere ottenuto una riduzione soddisfacente il palloncino viene svuotato dall’acqua e riempito di “cemento” o di sostituti dell’osso per mantenere l’altezza originaria. Anche questa metodica risulta gravata da complicanze; la più frequente delle quali riguarda, come nel caso della vertebroplastica, l’innesco di altri cedimenti somatici a carico dei metameri adiacenti a quello trattato e perciò reso irrigidito ed anelastico.
Il nostro indirizzo è di trattare gli schiacciamenti vertebrali preferibilmente in modo incruento, mediante l’utilizzo dei corsetti ortopedici; riserviamo la vertebroplastica solo ai rari casi in cui persista il dolore spondilogeno posturale per imperfetta consolidazione del cedimento.
La terapia medica di tipo osteotrofico deve poi necessariamente accompagnare quella ortesica: saranno indagate le possibili cause di demineralizzazione dell’osso e verranno presi i necessari provvedimenti terapeutici. Generalmente la terapia medica dell’osteoporosi senile si basa sulla somministrazione di alendronati per os o per via parenterale, di alte dosi di Calcio, se non controindicato da patologie metaboliche concomitanti, e da vitamina D idrossilata.
Conclusioni
Abbiamo visto come quello dell’osteoporosi e di tutte le fratture patologiche ad essa correlate sia un problema serio, con svariate implicazioni sociali. Viene da più parti fatto osservare come le donne che adesso vengono definite “anziane” sono nate in un periodo di generale “povertà” sociale, in cui è ipotizzabile che abbiano avuto carenze alimentari proprio negli anni in cui si forma la cosiddetta “massa ossea” che sono quelli dell’infanzia e della pubertà. Queste stesse donne sono entrate nel periodo menopausale in un’epoca (20-30 anni fa) in cui né i medici, né le donne stesse erano sensibilizzati al problema. Rappresenta probabilmente più che una speranza il fatto che le generazioni più recenti arrivino all’età senile con una buona massa ossea alle spalle e che siano assistite farmacologicamente e con consigli sullo stile di vita (dieta ed attività fisica) in questo delicato momento, in modo da prevenire l’osteoporosi e le sue conseguenze.
Nell’attesa che giunga questo momento è nostro compito trattare questi pazienti con le risorse che abbiamo a disposizione per abbreviarne il periodo di inabilità e per consentire loro di ritornare il più precocemente possibile alla cosiddetta “normalità” di vita.